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Lapidazione: attenti alla strumentalizzazione

by redazione

I paesi dove ancora oggi sopravvive la pratica barbara della lapidazione sostengono di agire secondo i dettami della religione islamica, ma in realtà nel Corano non ve n’è traccia. È menzionata invece nella Sunna, ovvero la tradizione del profeta Muhammed, da cui molti giureconsulti conservatori attingono prendendola alla lettera, senza tenere conto del contesto storico. Giusto combattere questa pratica, ma attenzione a chi strumentalizza la mobilitazione per «preparare» l’opinione pubblica occidentale a una guerra contro l’Iran.

La drammatica faccenda di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana condannata a morte per lapidazione, ha riacceso i riflettori sul gravissimo problema della pena capitale in vigore ancora oggi in Iran come in altri paesi di tradizione islamica. A prescindere dal caso specifico ancora da chiarire, resta il fatto che in alcuni stati musulmani la lapidazione è prevista dagli hudud (il codice penale islamico) e ogni anno decine di uomini e donne vengono deliberatamente messi a morte mediante questo metodo primitivo, barbaro, criminale (non che gli altri metodi non lo siano, ben inteso). La lapidazione viene applicata soprattutto in situazione di «reato» d’adulterio – come nel caso della signora Ashtiani – per la tutela di una presunta «morale pubblica». Questa pratica aberrante ci ricorda in qualche modo il codice di Hammurabi del XVIII secolo a.C., il quale prevedeva, ma solo per la donna, la morte per annegamento per il «reato» di tradimento coniugale.

Oggi in alcuni paesi musulmani sopravvive ancora la lapidazione. E coloro che la applicano agiscono, a loro dire, secondo i dettami della religione islamica. Eppure nel Corano, fonte principale della legge islamica, nessun versetto parla di lapidazione. Vi sono certo riferimenti ad altre forme di punizione crudeli – e altrettanto condannabili – come la fustigazione. La lapidazione è invece menzionata nella Sunna, ovvero la tradizione del profeta Muhammed. È a questa tradizione – presa alla lettera e senza tenere conto del contesto socio-culturale e storico a cui era legata – che molti giureconsulti conservatori attingono per stabilire la legittimità di punire il «reato» d’adulterio con la lapidazione. È a questa scuola di pensiero tradizionalista – che predica una visione letteralista anche del Corano – che alcuni regimi islamici, come quello iraniano e quello saudita, fanno riferimento. In Arabia Saudita, paese che contende il primato delle esecuzioni capitali a Cina, Iran e Stati Uniti, il codice penale «ispirato» dallaSharia prevede, oltre alla lapidazione, altre forme di atrocità come l’amputazione delle mani ai ladri. A loro volta, anche diversi movimenti islamici fondamentalisti sposano il pensiero letteralista; il più potente tra di essi è quello wahabita, da cui derivano in gran parte i jihadisti, oggi “co-protagonisti” del terrorismo internazionale. Ricordiamo che il wahabismo – nato in Arabia Saudita e diffuso in tutto il mondo islamico grazie ai petrodollari – fornisce la dottrina e l’ideologia sulle quali si basano molti gruppi terroristici nel giustificare la loro devastante violenza sanguinosa. Nel loro folle progetto di riportare il mondo islamico all’era del Califfato, i gruppi estremisti islamici, basandosi su una lettura arcaica, faziosa, errata e persino populista, seminano oggi il terrore dentro e fuori i paesi a maggioranza islamica. Le vittime di questa violenza fondamentalista sono in primo luogo i musulmani: gran parte degli attentati sono stati compiuti a danno dei musulmani stessi, vedi l’Algeria, l’Iraq, l’Afghanistan, la Somalia e così via. Ma la devastante ondata di fondamentalismo islamico travolge anche le minoranze cristiane e di altre religioni in terra d’islam: il giro di vite sulla libertà religiosa contro i cristiani in Arabia Saudita, i Baha’i in Iran; le operazioni di violenza contro le chiese e le persone che vi si recano per pregare, in Nigeria, in Pakistan e così via…

Questa drammatica situazione interroga innanzitutto i musulmani. Il mondo islamico, ahimé, è rimasto molto indietro rispetto al lavoro di contestualizzazione e interpretazione del Corano e della Sunna. I motivi di questo immenso ritardo sono da un lato interni, attribuibili a fattori socio-culturali, dall’altro lato sono esterni, legati alle dinamiche geopolitiche e agli equilibri da esse stabiliti sullo scacchiere internazionale. A titolo d’esempio, ricordiamo che il Kuwait fu un’invenzione dell’impero britannico: fu creato dividendo l’Iraq, che allora era un suo protettorato. L’Iraq, che era la culla dell’islam e una grande speranza per il mondo arabo, è stato completamente distrutto dagli americani e poi lasciato in balia della violenza dell’estremismo settario. Aggiungiamo anche il fatto che la «base operativa» del fondamentalismo islamico è l’Arabia Saudita, paese dove il wahabismo fu adottato come dottrina del regno da Al Saud, la dinastia beduina giunta al potere grazie all’appoggio del governo americano. E ricordiamo infine che la transizione dell’Iran da un regime laico – come lo intendeva Mossadeq – ad una teocrazia fu causato da un’arrogante politica coloniale degli inglesi prima e degli americani in seguito.

Oggi in questi come in altri contesti islamici – come quello egiziano, sottoposto ad un regime dittatoriale protetto dalla Casa Bianca, o quello algerino dominato da una giunta militare sostenuta dalla Francia e non solo – è difficile avviare un serio e duraturo lavoro di ijtihad (sforzo ermeneutico delle fonti principali della religione islamica). Un ijtihad serio porterebbe ad una riforma e ad una «modernizzazione positiva» dell’islam con un’evoluzione della mentalità in seno alle società musulmane. Ma ciò pare non convenga a tanti. Non conviene ai fondamentalisti religiosi perché verrebbe meno la loro influenza sulle popolazioni musulmane dove reclutano tutt’oggi i loro «uomini bomba» e i loro soldati del terrore. Non conviene ai regimi cosiddetti islamici perché verrebbe meno la loro legittimità politica se attraverso l’ijtihad venissero veramente applicati gli insegnamenti del Corano e della Sunna.

Non conviene a chi fa della «lotta al terrorismo islamico» il pretesto per sottomettere al suo controllo politico e militare tutti i paesi islamici e accaparrarsi le loro ricchezze. In effetti, se non ci fossero Al Qaeda e i talebani… bisognerebbe inventarli!

Viviamo ormai in un villaggio globale e la «questione islamica» ci riguarda tutti da vicino. L’opinione pubblica internazionale resta oggi l’unica speranza di mediazione credibile per evitare che il mondo musulmano si chiuda su se stesso e che i suoi rapporti con l’Occidente portino ad una permanente guerra globale. Ma per giocare fino in fondo questo suo nobile ruolo, l’opinione pubblica internazionale deve essere libera e immune da strumentalizzazioni ideologiche. È doveroso mobilitarsi come società civile internazionale per denunciare i crimini contro l’umanità e difendere i diritti umani. Le manifestazioni a favore di Sakineh e contro la mostruosa pratica della lapidazione sono un dovere civico per tutti i cittadini del mondo. Ma attenzione a non cadere nella trappola di coloro che strumentalizzano la faccenda mediante i loro potenti mezzi di propaganda per prepararci psicologicamente ad una nuova guerra contro un altro paese musulmano, le cui conseguenze sono inimmaginabili perché l’Iran non è paragonabile all’Iraq o all’Afghanistan!

Mostafa El Ayoubi

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