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Russia: i novant’anni di Gorbaciov, il potere di Putin, la vicenda Navalny

di Luigi Sandri

di Luigi Sandri. Redazione Confronti

Tempo di ricordi e di tormenti in Russia: parliamo dei novant’anni di Mikhail Sergheevič Gorbaciov; e del più vasto Paese del mondo (17 milioni di kmq, pari a 56 Italie) dove, in questi giorni, acuti emergono problemi sociali e politici. Due vicende del tutto distinte, ovviamente, ma per certi aspetti collegate.

Gorbaciov. Nato il 3 marzo 1931 vicino a Stavropol – contrafforti del Caucaso – diventato, l’11 marzo ‘85, segretario generale del Partito comunista dell’Unione sovietica, lancia le sue parole d’ordine: glasnost’ (trasparenza), perestrojka (ristrutturazione), uskorienie (accelerazione). L’impresa, titanica, si evidenzia con la difficoltà di gestire la catastrofe nucleare di Chernobyl dell’86. 

Di fronte al mondo, si impegna a fare la sua parte per la pace: d’intesa con Ronald Reagan, presidente Usa, taglia gli armamenti nucleari in Europa. Accetta la riunificazione delle due Germanie.  In patria riabilita esponenti del dissenso. Nel giugno ‘88 favorisce la celebrazione del Millennio del battesimo della Rus. Abolisce l’ateismo di Stato. Nell’89 si reca in visita ufficiale in Vaticano. Nel ‘90 riceve il premio Nobel per la pace.

Nel luglio del ’91 ipotizza un Congresso straordinario del Pcus per approvare un piano che, come punti teorici di riferimento,  accanto al comunismo prevede i movimenti “umanisti” della storia; e trasformerebbe il paese in Uss, Unione di Stati sovrani. Il mese seguente è prevista l’approvazione del nuovo Soiuzny Dogovor, cioè il “Trattato dell’Unione” per sostituire quello del 1922 che creava l’Unione sovietica: ma esso, secondo le repubbliche, come le baltiche, che aspirano alla totale indipendenza, concede troppo poco; e troppo, invece, per i duri del Pcus, che paventano la disintegrazione dell’Unione. Anche per impedire la firma del Dogovor, un gruppetto di alti dirigenti del Pcus il 18 agosto organizza un golpe

Il putsch, pur abortito, provoca una slavina; singole repubbliche si proclamano indipendenti (Lituania, Lettonia ed Estonia lo sono, in pratica, da un anno); Boris Yeltsin, presidente della Russia, toglie  il potere a Gorbaciov e, con i leader di Ucraina e Bielorussia, l’8 dicembre proclama “sciolta” l’Urss: vi è il rischio di una guerra civile intra-sovietica che il presidente del paese vuole evitare ad ogni costo; e il 21 di quel mese ad Alma-Ata (Kazakhstan) viene proclamata la morte dell’Urss. Il capo del Cremlino si dimette. 

Alla base della sua sconfitta politica vi sono due giganteschi e irrisolti dilemmi: come dare più autonomia alle repubbliche dell’Urss, senza però dissolverla? E come conciliare Pcus e pluralismo politico? Intanto, incombe sul paese una gravissima crisi economica, che grava sulla vita della gente: Gorbaciov ha immaginato di salvaguardare le conquiste del socialismo (sanità e scuola gratuite e garantite), insieme ammettendo una certa economia di mercato. Ma i piani per la transizione non partono.

Quale che fosse la soluzione dei vari dilemmi, il prezzo da pagare sarebbe stato altissimo: e, come in una tragedia greca, ogni possibile opzione dell’eroe avrebbe provocato la sua fine, e una profonda avversità del popolo a lui (che, nei più, in Russia perdura a tutt’oggi). Eppure, Egli aprì strade che, se percorse, avrebbero portato benessere in Urss, e rafforzato la pace del mondo. Gli si deve, dunque, grande riconoscenza. 

Navalny. E, con lui, guardiamo la Russia di Putin, dove la  democrazia stenta a consolidarsi: lo dimostra il caso di Aleksej Navalny, l’oppositore politico del presidente russo che ha rischiato di morire avvelenato: ad opera dei Servizi russi, dice lui, e si afferma in Occidente; “falsità”, ribatte lo “zar”. Accuse a parte, il suo arresto, e quello, con futili pretesti, di migliaia di seguaci, dimostra che fragile è sulla Moscova lo Stato di diritto, e che Putin rifiuta una vera “concorrenza”. Però, non è un autogol far diventare Navalny un “martire”?

Questi ha il pienissimo diritto di competere per la guida della Russia; ma nebuloso appare il suo programma di governo. Anni fa, definì tarakany, scarafaggi, i musulmani ceceni; è davvero cambiato, ora? In politica estera ha visioni simili a quelle dello “zar”: la pensa come lui sulla “annessione” della Crimea. Proclama – battaglia meritoria! – di voler opporsi alla corruzione  dell’attuale demokratura: però i sondaggi gli danno solo il 5% di gradimento, mentre Putin è al 64%. 

Luci e ombre attraversano i cieli della Russia. E l’ex leader sovietico ripensa al passato; scruta il presente; s’interroga sul futuro. Buon compleanno, Mikhail Sergheevič. 

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Luigi Sandri

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