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Migranti, Chiese e politica

by Fulvio Ferrario

di Fulvio Ferrario. Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.

Se in politica chi abbaia di più sui migranti è elettoralmente premiato e se l’opinione pubblica si dice addolorata di fronte alle stragi in mare (per poi autoassolversi abbastanza velocemente), da che parte si collocano le Chiese occidentali in questa situazione di insensibilità morale?

«La discussione sulla gestione dei migranti deve essere sulla dimensione esterna dei confini europei: è inutile discutere di movimenti secondari se non discutiamo, a monte, di quelli primari». Così Giorgia Meloni ha commentato il fallimento della mediazione da lei tentata, a cavallo tra giugno e luglio, tra la maggioranza dei Paesi dell’Unione europea e i più radicali tra i sovranisti. Il “politichese” della Presidente incoraggia una traduzione: «Intanto, ricacciamone indietro quanti più possiamo; con quelli che sopravvivono e addirittura riescono a sbarcare, vediamo».

Sarebbe strumentale attribuire tale cinismo solo alla Destra. Altri hanno sottoscritto accordi vergognosi con personaggi come Erdoğan, oppure con la Libia, infischiandosene ampiamente delle messe in guardia dell’ Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). In generale, le forze politiche sono imbarazzate su questo tema.

Ciò accade perché esse inseguono (e in parte titillano, è vero anche questo) l’opinione pubblica: chi abbaia di più sui migranti, è elettoralmente premiato. La stessa opinione pubblica si dice addolorata di fronte alle stragi, ma si autoassolve abbastanza velocemente, ad esempio con l’argomento che i buoni, noi, sono disponibili ad aiutare le persone, ma “a casa loro”.

In questa situazione di insensibilità morale, da che parte si collocano le Chiese occidentali? Pare di poter dire che esse siano attraversate da una divisione piuttosto profonda, che non passa tra cattolici e protestanti, bensì è trasversale rispetto alle due famiglie cristiane. I vertici hanno assunto una posizione abbastanza chiara: semplificando un poco, si può affermare che le dirigenze ecclesiastiche sono tra le pochissime voci che ricordano alle democrazie europee le loro enormi responsabilità su questo terreno; inoltre, insieme ad altre espressioni della società, come le Ong, le Chiese sono direttamente impegnate in varie e complesse operazioni di sostegno alle persone in difficoltà.

Dall’altra parte, la base delle Chiese riflette, più o meno, le opinioni prevalenti nell’opinione pubblica: non si può dire che la catechesi e la pratica liturgica abbiano realmente creato, a livello di massa (là dove esistono “masse” cristiane, ovviamente…) una sensibilità diversa. Ciò costituisce una sfida pastorale di assoluta rilevanza.

In ogni caso, sia per quanto riguarda la denuncia, sia per quanto riguarda la presenza solidale “sul campo”, le Chiese stanno svolgendo un’opera meritoria e, al di là delle chiacchiere, del tutto controcorrente. L’obiezione che viene tuttavia rivolta, a loro e a tutte le forze sociali che cercano di reagire alla tragedia, è tuttavia la seguente: le dimensioni del fenomeno richiedono una risposta complessiva, che non può riassumersi nella formula “accogliamoli tutti”.

Anche le pratiche virtuose come i corridoi umanitari hanno un dichiarato carattere di segno efficace di una possibilità umanizzante, ma in assenza di una proposta politica generale fanno fatica a incidere significativamente. È sintomatico, anzi, che alcuni esponenti politici, distorcendo in modo strumentale la proposta dei corridoi, la contrappongano ai tentativi di salvare le persone in mare.

Volendo, si potrebbe rilevare, non senza ragione, che il compito di una proposta politica compete, appunto, alla politica, anzitutto a livello europeo. Poiché però quest’ultima non ha alcuna intenzione di formularla, forse tocca alle forze responsabili della società indicare la difficile strada di un realismo che non coincida con l’indifferenza assassina. Quali sono le proporzioni dei flussi che un sistema come quello europeo può elaborare? Quali interventi si possono pianificare nei territori di provenienza, e in quali tempi è ragionevole attendere degli effetti? Quali risorse possono e devono essere investite, e come reperirle?

Le risposte non si elaborano da un giorno all’altro, ma ciò non deve diventare un alibi. Nel frattempo, le Chiese hanno dichiarato qual è l’obiettivo non negoziabile: impedire, nella misura del possibile, gli annegamenti. La maggioranza che, in Europa, la pensa diversamente dovrebbe almeno avere il coraggio di affermarlo. A modo suo, Giorgia Meloni l’ha fatto.

Foto © Nikko Macaspac via Unsplash

Fulvio Ferrario

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Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.

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