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Kenya, 21 anni di terrorismo

by Enzo Nucci

di Enzo Nucci. Corrispondente della Rai per l’Africa sub-sahariana.

 

In Kenya il terrorismo di matrice islamista continua a mietere vittime, senza che si riesca a elaborare una politica efficace di contenimento. Una guerra impropriamente definita “a bassa intensità” che dura ormai da ventuno anni.

Il Kenya convive pericolosamente con il terrorismo islamista da almeno ventuno anni. La prova generale dell’attacco alle Torri Gemelle di New York del 2001 avvenne proprio a Nairobi quando il 7 agosto 1998 Al Qaeda rase al suolo l’ambasciata statunitense, contemporaneamente a quella di Dar Es Salaam in Tanzania. I morti furono duecentotredici e quasi quattromila i feriti. Il 28 novembre 2002 a finire nel mirino fu l’hotel Paradise (di proprietà israeliana) a Mombasa in cui morirono sedici persone.

E quasi simultaneamente due missili terra-aria sfiorarono un Boeing 757 di una compagnia di Tel Aviv mentre stava decollando all’aeroporto di Mombasa. Una ulteriore conferma delle grandi capacità militari dei terroristi. Tra il 2008 ed il 2015 sul Kenya si abbatte una tempesta di bombe e proiettili: ben duecentosettantadue attacchi a stazioni di autobus, mercati affollati, obiettivi civili in cui muoiono centinaia di persone. Le aree più colpite sono le contee settentrionali e orientali, tra cui il Tana River dove si contano almeno cento vittime tra i soldati di Nairobi.

È una guerra in piena regola, impropriamente definita a “bassa intensità” ma che non rende giustizia alle vittime innocenti.

Il terrore islamista riconquista la ribalta mediatica internazionale il 22 settembre 2013 quando gli integralisti somali di Al- Shabaab (vicini ad Al Qaeda) seminano il panico nel centro commerciale di Westgate, nel centralissimo quartiere di Westland a Nairobi prendendo in ostaggio centinaia di visitatori ed uccidendo sessantasette clienti.

Il sangue continua ad inondare le strade del Kenya due anni dopo. Il venerdì santo del 2 aprile 2015 i miliziani di Al Shabaab fecero irruzione all’alba nei dormitori dell’università di Garissa, situata a centocinquanta chilometri dal confine con la Somalia, sorprendendo nel sonno gli studenti che si preparavano alla giornata di festa. Anche in questo caso il bilancio fu pesantissimo: centoquarantasette morti e settantanove feriti. Lo scorso 15 gennaio l’ultimo agguato all’hotel Dusit, a meno di due chilometri da Westland. Qui cinque terroristi hanno sparato all’impazzata sugli avventori del ristorante. 21 il bilancio provvisorio dei morti ma ci sono dispersi di cui si sono perse le tracce.

Dal 2011 il Kenya ha ufficialmente dichiarato guerra agli Shabaab con l’invio di soldati, successivamente inglobati nell’Amisom, la missione militare dell’Unione Africana. Risultati scarsi e silenzio assoluto su ciò che accade in terra straniera. Un silenzio divenuto assordante anche il 15 gennaio 2016 quando nella base somala di El Adde 141 soldati di Nairobi sono stati massacrati dagli Shabaab. Notizia tenuta dapprima nascosta dal governo e mai ammessa nella sua gravità. Le autorità di Nairobi faticano a contrastare il terrorismo somalo, ampiamente sostenuto da estorsioni a tasse imposte dagli Shabaab.

Secondo alcuni analisti statunitensi, gli integralisti somali dal 2012 al 2014 hanno incassato 83 milioni di dollari dalla tassazione e vendita del carbone. Altri 12 milioni di dollari sono piovuti solo nel 2015 nelle loro casse dal contrabbando di zucchero con il Kenya, frutto di un vero e proprio “pizzo” di mille dollari per ogni carico transitato. E poi ci sono i proventi derivanti da rapimenti e traffico di khat, una droga diffusissima coltivata in Kenya e venduta in Somalia. Un fiume di denaro riciclato anche in Kenya specialmente nel settore edilizio grazie anche a banche compiacenti. Denaro che alimenta la corruzione. I poliziotti pagati nel migliore dei casi con 80 dollari al mese sono sensibili alle offerte di chi ha i mezzi per sfuggire a retate, inchieste, setacciamenti di interi quartieri. A finire nelle maglie delle autorità sono nella schiacciante maggioranza persone senza documenti e senza soldi sufficienti per pagarsi la libertà.

Non è casuale che nulla si sa di indagini ed inchieste su questi numerosi attentati. Dopo centinaia di arresti esibiti come prova dell’impegno delle forze dell’ordine, segue un nulla di fatto e si ignora il destino di arrestati e sospettati caduti nelle mani delle forze dell’ordine.

Dopo l’attentato di Westgate, furono fermati migliaia di somali privi di permessi e concentrati nello stadio di Kasarani prima di essere rimpatriati. La loro unica colpa di non avere scellini sufficienti per pagare la mazzetta richiesta. Insomma ventuno anni di terrore non sono stati sufficienti per elaborare una politica di reale contenimento del terrorismo…

 

[pubblicato su Confronti 02/2019]

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