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Blasfemia: dalla Svezia alle Nazioni Unite

by Michele Lipori

di Michele Lipori. Redazione Confronti

Il caso delle copie del Corano bruciate pubblicamente in Svezia ha innescato un dibattito (che ha travalicato i confini nazionali) su quale sia la “misura” oltre la quale dichiarazioni critiche (o apertamente derisorie) nei confronti delle varie credenze religiose delle persone non siano più “accettabili” e su come la società dovrebbe affrontare tali atti.

In Svezia, una recente serie di profanazioni pubbliche del Corano, con tanto di permesso delle autorità competenti, da parte di alcuni “attivisti” anti-islamici ha scatenato reazioni di sdegno in molti Paesi a maggioranza islamica arrivando a generare anche episodi di violenza. Non solo, questa serie di atti ha anche sollevato un dibattito – dentro e fuori i confini nazionali del Paese scandinavo – sulla necessità di consentire o impedire tali forme di protesta che le persone religiose vivono come delle vere e proprie profanazioni.

LA LEGGE SVEDESE

In Svezia spetta alla polizia, non al governo, decidere se autorizzare manifestazioni o raduni pubblici e comunque deve citare motivi specifici per negare un permesso. In tal senso, è emblematico il fatto che seppur lo scorso febbraio la polizia di Stoccolma aveva negato due richieste di roghi pubblici del Corano – citando le valutazioni del servizio di sicurezza svedese secondo cui tali atti avrebbero potuto aumentare il rischio di attacchi terroristici contro la Svezia –, la Corte suprema svedese ha poi annullato tale decisione affermando che la polizia avrebbe dovuto citare minacce “più concrete” per poter vietare un qualsiasi raduno pubblico. Ad ogni modo, la polizia svedese ha presentato accuse preliminari per crimini d’odio contro un uomo (Salwan Momika, un iracheno con lo status di rifugiato in Svezia) che aveva bruciato il Corano fuori da una moschea a Stoccolma a giugno e ha nuovamente profanato il libro sacro dell’Islam a luglio. Spetterà ai pubblici ministeri decidere se incriminarlo formalmente.

Sul piano del diritto, è utile ricordare che la libertà di parola è tutelata dalla costituzione svedese, ma la legge vieta l’incitamento all’odio contro gruppi di persone in base a razza, etnia, religione, orientamento sessuale o identità di genere. E dunque in Svezia si è subito infiammato il dibattito tra chi sostiene che bruciare il Corano sia incitamento all’odio contro i musulmani e dovrebbe quindi essere considerato a tutti gli effettiun “crimine d’odio” e tra chi afferma che tali atti di “critica” – poiché prenderebbero di mira la religione e non le persone che la praticano – debbano essere coperti dal principio della libertà di espressione, anche nel caso in cui essi risultino offensivi.

Un’altra questione che è stata sollevata è quella relativa all’islamofobia: infatti alcune organizzazioni islamiche in Svezia hanno espresso il dubbio che la polizia svedese avrebbe permesso la profanazione di libri sacri di altre religioni. Una domanda che ha suscitato una “messa alla prova” del sistema svedese da parte di un uomo musulmano, il quale ha formalmente chiesto il permesso di organizzare una protesta davanti all’ambasciata israeliana in cui l’intento era quello di bruciare pubblicamente delle copie della Torah. Una richiesta immediatamente condannata dai funzionari del governo israeliano e dalle comunità ebraiche (che hanno invitato le autorità svedesi a impedire il gesto) ma che, anche in questo caso, ha ricevuto il nulla osta a procedere da parte della polizia. Tuttavia, una volta arrivato sulla “scena del delitto”, l’uomo ha abbandonato i suoi propositi dichiarando che in quanto musulmano era contrario al rogo di qualsiasi “libro sacro”.

UN CASO PER L’EUROPA

Nell’Unione europea, la libertà di espressione e quella degli organi di informazione sono diritti saldamente ancorati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Cdfue) che ha alla base l’idea che le società democratiche debbano essere in grado di tollerare una varietà di opinioni, anche qualora esse possano urtare la sensibilità religiosa. Tuttavia, il caso delle copie del Corano bruciate in Svezia ha riaperto il dibattito su quale sia la “misura” oltre la quale dichiarazioni critiche (o apertamente derisorie) nei confronti delle varie credenze religiose delle persone non siano più “accettabili” e su come la società dovrebbe affrontare tali atti. Lo scorso luglio, infatti, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhcr) ha approvato una controversa risoluzione “sull’odio religioso”.

La risoluzione, presentata dal Pakistan a nome dell’Organizzazione per la cooperazione islamica (Oic) composta da 57 nazioni, chiede al capo dei diritti delle Nazioni Unite di pubblicare un rapporto sull’odio religioso e agli Stati di rivedere le loro leggi e colmare le lacune che potrebbero «ostacolare la prevenzione e il perseguimento di atti e la difesa dell’odio religioso». La risoluzione è stata fortemente osteggiata dagli Stati Uniti e da alcuni Paesi dell’Unione Europea (Francia in primis) poiché ritenuta una mossa per per favorire la salvaguardia dei simboli religiosi a scapito dei diritti umani. L’esito del voto (28 Paesi hanno votato a favore, 12 contro e 7 si sono astenuti) segna di fatto una “sconfitta” per i Paesi occidentali in un momento in cui l’Oic ha un peso senza precedenti nell’Unhcr, l’unico organo composto da governi per proteggere i diritti umani in tutto il mondo.



IL REATO DI BLASFEMIA NEL MONDO

Nel gennaio 2022, il Pew Research Center ha pubblicato un rapporto che rilevava che 79 Paesi e territori sui 198 studiati avevano leggi o politiche che vietano la blasfemia – definita come «parole o azioni considerate sprezzanti nei confronti di Dio o di persone o oggetti considerati sacri» – mentre 22 avevano vietato l’apostasia, ovvero l’abbandono formale e volontario della propria religione di provenienza. Secondo il rapporto tali leggi sono più diffuse nell’area del Medio Oriente e Nord Africa, dove 18 Paesi su 20 (90%) hanno leggi che criminalizzano la blasfemia e 13 di loro (65%) vietano formalmente l’apostasia. In almeno sette Paesi – Afghanistan, Brunei, Iran, Mauritania, Nigeria, Pakistan e Arabia Saudita – essa comporta una potenziale condanna a morte.

Tra i Paesi che nell’ultimo decennio hanno creato leggi sulla blasfemia (o hanno fatto modifiche a leggi preesistenti) ci sono: Kazakistan, Nepal, Oman, Mauritania, Marocco e Brunei. Tra questi, anche la Germania che in una legge sulla tecnologia del 2018 è stata citata la disposizione contro la blasfemia già presente nel cosiddetto Paragrafo sulla blasfemia (paragrafo 166 del Codice penale tedesco) secondo il quale chiunque «insulta la religione o l’ideologia altrui in modo idoneo a recare turbamento alla quiete pubblica» può essere condannato fino a tre anni di reclusione.

Più di recente, l’Indonesia (il Paese con il maggior numero di persone di religione islamica) ha rivisto il proprio codice penale per rafforzare le leggi sulla blasfemia, limitando ulteriormente la libertà di parola: a farne le spese soprattutto le minoranze religiose. I Paesi che hanno abrogato le leggi sulla blasfemia nell’ultimo decennio includono Islanda, Norvegia, una provincia della Francia (Alsazia- Mosella), Malta, Danimarca, Irlanda, Canada, Nuova Zelanda, Grecia e Scozia. Per quanto riguarda l’Italia, l’art. 724 del Codice penale classifica le offese in pubblico contro le religioni (o i loro seguaci) come reati amministrativi, punibili con un’ammenda da 51 a 309 euro (uno degli ultimi casi di applicazione della legge risale a agosto 2022). Il codice penale punisce altre offese pubbliche alla religione, per esempio la profanazione di oggetti usati per riti religiosi o le offese pronunciate durante cerimonie religiose, con un’ammenda fino a 5.000 euro o una pena detentiva fino a 2 anni. Chi distrugge o profana oggetti usati per cerimonie religiose, invece, può essere punito con pene detentive fino a 2 anni di carcere.

Foto © Cullan Smith via Unsplash

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Michele Lipori

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