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Corridoi umanitari, una doppia sicurezza

by redazione

intervista a Luca Maria Negro (presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia)

a cura di Daniela Mazzarella

Da oltre un anno la Federazione delle chiese evangeliche in Italia è impegnata nel progetto pilota dei corridoi umanitari che ha come obiettivo principale quello di evitare ai profughi i viaggi con i “barconi della morte” nel Mediterraneo offrendo un’alternativa sicura e legale.

A gennaio del 2016 è arrivata a Fiumicino dal Libano una famiglia siriana con una bambina, Falak, che aveva urgente bisogno di cure mediche. Era il primo corridoio umanitario, finanziato dalla Tavola valdese – Unione delle chiese metodiste e valdesi con il suo Otto per mille e organizzato dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) e dalla Comunità di Sant’Egidio. Dopo quel primo arrivo ne sono seguiti altri e altri ne seguiranno. Abbiamo intervistato Luca Maria Negro, pastore battista e presidente della Fcei.

Quale il bilancio ad un anno dal primo corridoio umanitario?

Il bilancio è sicuramente positivo; tutto è andato come pensavamo che andasse e tutto sta funzionando, compresa l’integrazione delle persone che sono arrivate. Abbiamo avuto alcuni casi di grande soddisfazione, come quello di persone che sono riuscite a iscriversi all’università e anche ad accedere a delle borse di studio. Avevamo il cruccio che questo modello, immaginato e sperato come “modello esportabile”, non venisse ripreso da nessuno. Invece proprio nelle scorse settimane ci sono state due buone notizie. La prima è che in Italia un nuovo corridoio umanitario sarà aperto con il Corno d’Africa dalla Conferenza episcopale italiana insieme alla Comunità di Sant’Egidio, e la seconda vede l’avvio di un nuovo progetto ecumenico come il nostro ma tra la Federazione delle chiese protestanti di Francia, la Conferenza episcopale francese e il ramo francese di Sant’Egidio. Questi sono segnali piccoli ma per noi importanti. Restano purtroppo piccoli, perché sappiamo bene che si tratta di numeri limitati: il nostro progetto prevede l’arrivo di mille profughi, di cui 700 sono già arrivati, quello in Francia ne prevede altri 500, così come 500 sono i visti concessi al progetto della Cei con Sant’Egidio.

In questo particolare momento storico, in cui paure e crisi economiche tendono a rafforzare i partiti xenofobi e di estrema destra, c’è un messaggio particolare che può arrivare dai corridoi umanitari?

Credo proprio che i corridoi umanitari possano rispondere anche alle paure che si stanno diffondendo nei nostri Paesi, siano esse paure razionali che irrazionali. Certamente il modello dei corridoi umanitari fornisce una doppia sicurezza: da un lato noi garantiamo a dei soggetti vulnerabili, che hanno davvero bisogno di fuggire da dove stanno, un viaggio sicuro; dall’altro lato la sicurezza riguarda anche i nostri Paesi, che in questo modo si trovano ad accogliere solo persone di cui sanno nome, cognome, provenienza e storia. Bisogna ricordare che i corridoi umanitari sono una collaborazione tra la società civile (in questo caso le chiese o organizzazioni di chiese) e lo Stato e vengono realizzati con il pieno concorso dei Ministeri degli Esteri e dell’Interno. Anche per questo c’è garanzia sulle persone che sono selezionate; sappiamo esattamente chi ci portiamo in casa e questo mi sembra molto rassicurante. Di fronte al crescere delle paure e della diffidenza verso lo straniero, più che costruire muri e barriere bisognerebbe proprio incrementare i corridoi umanitari.

Il coinvolgimento dello Stato è solo di tipo organizzativo o prevede anche una partecipazione per quanto riguarda i costi?

Non c’è nessun onere per lo Stato in tutta la fase iniziale. Noi ci siamo impegnati a portare in Italia i profughi e ad accogliere queste persone per un periodo di alcuni mesi necessario per fornire loro gli strumenti e le possibilità di integrazione. Può capitare che in questo periodo qualcuno non riesca a raggiungere gli obiettivi sperati; in questi casi allora subentra la cura da parte dello Stato. Tutto il progetto vero e proprio dei corridoi umanitari è totalmente finanziato dall’Otto per mille alla Chiesa valdese (Opm), mentre per quanto riguarda il periodo di permanenza nelle strutture sul nostro territorio entrano in gioco, oltre ai fondi Opm, anche donazioni private per Sant’Egidio e di diverse chiese protestanti europee per quanto riguarda noi.

Come mai si è scelto come partner Sant’Egidio, così fortemente radicato nel mondo cattolico?

Per noi era importante fare un progetto ecumenico e avevamo bisogno di un partner che avesse una solida esperienza in campo internazionale. Quindi chi meglio di Sant’Egidio poteva aiutarci nella realizzazione di questo sogno? Infatti così è stato.

La Tavola valdese, oltre a non destinare neanche un euro alle proprie attività di culto, finanzia da sempre con il proprio Opm anche progetti che hanno a che fare con altre confessioni religiose. Le sembra possibile vedere tra qualche anno un corridoio umanitario a parti invertite, organizzato dalla Cei, finanziato dall’Otto per mille alla Chiesa cattolica, e con la partecipazione vostra e di Sant’Egidio?

Tutte le Chiese evangeliche che hanno l’Otto per mille molto spesso sostengono iniziative che con le proprie Chiese non hanno assolutamente nulla a che fare: progetti totalmente laici o, appunto, pensati e messi in atto da altre confessioni. Credo che la Chiesa cattolica non finanzi progetti interconfessionali o ecumenici. Se un domani l’ecumenismo andasse così avanti ovviamente per noi sarebbe bello, ma non è certo una nostra richiesta.

(pubblicato su Confronti di marzo 2017)

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