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No all’austerità, sì a lavoro e welfare

by redazione

di Giulio Marcon, deputato di Sinistra ecologia e libertà, già portavoce della campagna «Sbilanciamoci!»

 

Da troppo tempo si discute dell’anacronismo e dell’insostenibilità dei parametri del Patto di stabilità e ora del fiscal compact, che stanno distruggendo il welfare ed i diritti sociali. Potremmo fare l’antologia di tutte le dichiarazioni di ex presidenti del Consiglio, di ex ministri dell’Economia e delle Finanze, di ex presidenti della Commissione europea e del Parlamento europeo che definiscono senza senso, arbitrari, stupidi e insostenibili questi parametri. Anche l’attuale presidente del Consiglio ha definito anacronistici questi parametri, eppure si continua come sempre in una politica suicida che alimenta la disoccupazione e la depressione economica della produzione. È questa una politica economica che pensa non ci sia bisogno del welfare perché ci pensa la filantropia, che pensa non ci sia bisogno di politica industriale perché intanto ci pensa il mercato. E che pensa che non ci sia bisogno di una politica del lavoro perché basta la liberalizzazione del mercato del lavoro. È questa una politica economica che pensa che la causa della crisi sia quella del debito pubblico, ma non si accorge che sono i mercati finanziari che nel 2007 hanno originato questa crisi. In questi anni, invece di fare il «contropelo» ai mercati finanziari, gli abbiamo «lisciato il pelo», facendogli tanti regali, esentandoli dalle regole, salvandoli con i soldi pubblici. E anche la futura Unione interbancaria rischia di essere un «pannicello caldo», se non interviene sulla separazione tra banche commerciali e banche d’affari.

Le ricette sono sempre le solite, sempre quelle: riduzione del welfare e liberalizzazioni a tutto spiano, ma nell’interesse del mercato, non della società, a favore di nuovi monopoli privati e non della concorrenza. E, per parafrasare Joyce, questo è un liberismo che ha per motto «libera volpe in libero pollaio». Ma invece oggi abbiamo bisogno di più welfare, di più politica economica, di maggiori regole, di maggiore intervento pubblico. È una balla quella che noi abbiamo una spesa pubblica più alta di altri paesi europei. Invece è inferiore alla media europea per l’innovazione e la ricerca, per l’istruzione, per il lavoro, per la famiglia, per gli investimenti pubblici, per il welfare. Il problema è il debito, si dice, ma le politiche di austerità hanno fatto aumentare il debito in sei anni di 30 punti in Europa e di 15 punti in Italia negli ultimi tre anni. E queste stesse politiche hanno fatto salire a 27 milioni di persone il numero di disoccupati e hanno causato il crollo del Pil quasi dappertutto e in Italia del 9 per cento rispetto al 2007.

L’austerità non è altro che la «continuazione del neoliberismo con altri mezzi». E quelli che il Nobel per l’economia Paul Krugman definisce gli «austerici», ovvero gli isterici dell’austerità, hanno continuato a violare le regole del buonsenso portandoci in questo tunnel senza uscita con il welfare in frantumi. È più facile ridurre le spese durante una fase di crescita che in un periodo di crisi, quando bisogna fare investimenti per rilanciare la domanda e intervenire sui consumi. In questi anni ci si è affidati al mercato e alla sua efficienza. Sì, la stessa efficienza dimostrata dai mercati finanziari nel 2007 e nel 2008. Di questa efficienza facciamo volentieri a meno. In questi anni è aumentata la spesa pubblica, ma non la spesa sociale. È aumentata perché si sono usati soldi pubblici per salvare le banche private e perché la spesa per il debito è cresciuta per la crisi economica e la diminuzione delle entrate. Si è pensato di risolvere il problema semplicemente riducendo le spese (quelle dei diritti e del welfare), mentre dovevamo aumentare le entrate puntando sul rilancio dell’economia e degli investimenti. Ci siamo affidati completamente al mercato, sbagliando. Possiamo discutere di quale economia di mercato abbiamo bisogno, ma non abbiamo certo bisogno di una società di mercato e, per dirla con Karl Polanyi, è il mercato a dover essere incorporato nella società, e non viceversa. Ecco perché va rifiutata l’impostazione, la filosofia, nonché i dispositivi concreti del fiscal compact e del Patto di stabilità.

Bisogna prevedere uno scostamento del 3 per cento per gli investimenti per l’istruzione, l’innovazione, la sanità e il welfare; uno scostamento che, nel medio periodo, non produce più debito, ma maggiore crescita e, quindi, entrate. L’Italia, in sede europea, deve essere promotrice di una politica monetaria più determinata della Bce, rispetto sia al dollaro che al rilancio della spesa per gli investimenti. Serve, allora, un piano organico e finalizzato all’emissione di Eurobond per un «Green new deal» e per il lavoro. È il lavoro che deve tornare al centro, altrimenti non avremo nemmeno più la possibilità di ridurre il debito. Dobbiamo capovolgere le priorità in Europa: il lavoro e non le banche, gli investimenti pubblici e non la riduzione della spesa sociale, l’intervento pubblico e non il mercato.

Per il prossimo semestre europeo di Presidenza italiana che comincia il primo luglio, il governo si deve fare promotore di due iniziative. La prima: una proposta di revisione radicale dei trattati e dei regolamenti che regolano il Patto di stabilità e di crescita. La seconda, una proposta, da definire nei prossimi mesi in previsione della mid-term review del bilancio europeo, che vada in due direzioni: aumento sensibile del bilancio europeo, anche con strumenti di fiscalità comunitaria, e accrescimento della parte del bilancio europeo destinato alle politiche di coesione sociale e di welfare, di sviluppo e di crescita. L’Europa ha bisogno subito di quattro medicine: la fine dell’austerità, maggiore democrazia, maggiori regole ai mercati finanziari ed un New Deal sociale, democratico, ecologico, capace di creare lavoro e dare fiato alle imprese.

Le politiche di austerità e il fondamentalismo di mercato hanno distrutto il welfare, hanno alimentato e continuano ad alimentare i populismi e le destre. Dopo le emergenze economica e del lavoro dobbiamo evitare un’emergenza democratica in Europa. Ecco perché dobbiamo cambiare strada e prendere la strada della bistrattata – troppo bistrattata – Strategia Europa 2020 a favore della realizzazione di quegli obiettivi sociali e democratici oggi dimenticati: rilanciare il welfare e la coesione sociale è la premessa per rilanciare il sogno europeo, combattere la crisi e dare più diritti a tutti.

 

(pubblicato su Confronti di maggio 2014)

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