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Contro il bavaglio e il carcere. Sempre

by redazione

«Per l’ennesima volta, la voglia di bavaglio contro i cronisti ha avuto la meglio rispetto a qualsiasi altra considerazione, persino rispetto alla necessità di salvare il direttore del “Giornale”. Per questo sarebbe un errore gioire per la mancata approvazione della legge o peggio fregarsi soddisfatti le mani per la pena inflitta a Sallusti». Giulietti è portavoce dell’associazione Articolo 21.

«La vicenda Sallusti è la più clamorosa dimostrazione che in Italia esiste un’emergenza giustizia». Chi ha pronunciato queste parole? Lui, sempre Lui, Silvio Berlusconi, già presidente del Consiglio e, per di più, editore di riferimento del «Giornale», anche se il fratello Paolo è costretto a fare da prestanome, tanto per aggirare qualche legge in più. Come non commuoversi di fronte a tanto amore per la libertà? Come non accogliere a braccia aperte, tra le fila di chi ha sempre gridato «No bavaglio, no carcere!», anche il cavaliere e i suoi vassalli? Chi non ricorda l’editto bulgaro, le volgarità scagliate contro Montanelli e Biagi, la legge Gasparri, la chiusura delle trasmissioni di Santoro, i dossier scagliati a reti semi-unificate contro Boffo, direttore dell’«Avvenire», e contro il giudice Mesiano, reo di non aver assolto Berlusconi sul caso Mondadori? Per non parlare del magistrato Cocilovo, accusato di aver indotto una minorenne ad abortire: proprio per questo il «Giornale» è stato condannato per diffamazione e il giudice, peraltro, attende ancora una lettera di scuse. Come dimenticare le mancate solidarietà del «Giornale» nei confronti di chi finiva sotto i colpi politici e mediatici, spionaggio compreso, del servizio d’ordine berlusconiano? Vogliamo rimuovere i finti dossier contro Prodi, le bufale alla Mitrokhin, le cassette su Marrazzo arrivate prima sul tavolo dell’editore e poi su quello degli inquirenti? E le barzellette raccontate sul caso Ruby e le mazzate tirate sulla signora Veronica, una delle poche, forse, ad aver manifestato umana pietà per un uomo lasciato solo da finti amici, ruffiani, opportunisti di ogni risma?

No, non dimentichiamo nulla, ma non ci convincono gli inviti a non solidarizzare, «perché in fondo quel Sallusti il carcere se lo meritava…». Nonostante tutto, continuiamo a pensare che il carcere non sia la pena giusta per questo reato. Lo pensavamo prima e non abbiamo motivo di cambiare opinione ora. Lasciamo ad altri il metodo della «doppia morale»: quel che vale per gli amici, non vale per i nemici. Per altro, anche di recente, è stato il Consiglio d’Europa a chiedere all’Italia di «rientrare nei parametri europei», anche attraverso la modifica delle norme e l’abrogazione del carcere per direttori e cronisti. L’Europa lo chiede da tempo, a prescindere dal caso Sallusti. Perché mai dovremmo negare oggi quello che abbiamo chiesto ieri? Naturalmente la riforma della giustizia, evocata da Berlusconi, non c’entra nulla. Per abrogare il carcere sarebbe bastato che il Senato votasse la norma già predisposta, invece proprio la destra ha cercato di abrogare il carcere per i direttori ma estenderlo a tutti i cronisti, come a dire: se non è zuppa, è pan bagnato. Non contenti, avevano anche raddoppiato le multe, con il rischio di colpire a morte chiunque non avesse alle spalle potenti cordate imprenditoriali. Allo stesso modo era stata respinta la proposta, avanzata dalle associazioni dei giornalisti, di istituire un Giurì per la lealtà dell’informazione, per rendere effettivo e immediato il diritto alla rettifica, unica misura in grado davvero di ripristinare una dignità lesa, una vita sfregiata. Al primo voto segreto è riemersa la voglia di carcere e di legge bavaglio: altro che liberare i cronisti e tutelare il diffamato! La riforma della giustizia e le «toghe rosse» non c’entrano proprio nulla. Più semplicemente, per l’ennesima volta, la voglia di bavaglio contro i cronisti ha avuto la meglio rispetto a qualsiasi altra considerazione, persino rispetto alla necessità di salvare il direttore del «Giornale». Per questo sarebbe un errore gioire per la mancata approvazione della legge o peggio per la pena inflitta a Sallusti. Quella norma va cancellata comunque, il diffamato va tutelato meglio, la rettifica non può essere una «concessione del principe», il diritto di cronaca deve essere liberato da intimidazioni ed avvertimenti di ogni sorta.

Sarebbe stato possibile farlo subito, comunque sarà obbligatorio che lo faccia il prossimo governo. Nella speranza che, al primo voto segreto, non torni a manifestarsi il partito trasversale del rancore ben disseminato in tutte le famiglie politiche, tra quanti non hanno mai digerito ruolo e funzioni dei poteri di controllo: dalla giustizia all’informazione. Se e quando dovessero riprovarci, articolo 21 (insieme con gli amici di sempre, e con riviste come questa, che hanno davvero nel cuore la Costituzione) non mancherà di tornare a far risuonare il suo «No carcere, no bavaglio», chiunque sarà al governo, chiunque sarà il condannato. A prescindere, come diceva Totò.

Giuseppe Giulietti

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