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Il patto non scritto che sovrasta «Avvenire»

by redazione

La vicenda delle dimissioni di Dino Boffo, in seguito alle denunce del «Giornale», è la spia di un ben più aspro contrasto, interno alle gerarchie ecclesiastiche, su quale scambio offrire a Berlusconi per ottenere leggi «cristiane» sulla bioetica. Sullo sfondo, in Vaticano, le manovre in vista del futuro conclave.

La recente vicenda di Avvenire culminata con le forzate dimissioni del suo direttore Dino Boffo rappresenta, ci sembra, la punta di iceberg di una serie di questioni, importanti e delicate, che travalicano il limitato caso di cronaca e implicano, da una parte, i vertici della Santa Sede e della Chiesa cattolica italiana, e le loro opinioni su alcune importanti leggi dello Stato italiano, già approvate o in via di approvazione, dall’altra, il primo ministro in carica, le sue fortune politiche e le scelte del Parlamento. Ovviamente, piani e fronti ben distinti e diversi, che si accavallano, si elidono, si intrecciano. Insomma, un pasticciaccio che poteva accadere solo in Italia, perché è questo paese che ha una croce e delizia unica al mondo: quella di ospitare, nel suo territorio, la sede del papato.

Se Berlusconi manda a dire…

Dopo lo scossone, derivatogli dalle notizie, da lui sempre smentite, ma riaffermate da vari giornali (in mano, secondo il presidente del Consiglio, a «comunisti» e «cattocomunisti»), di sue frequentazioni con veline ed escort, un grande fastidio per lui fu che perfino personalità cattoliche (ecclesiastiche e laiche) levassero voci di disagio per la condotta, ritenuta immorale, di un capo del governo che pure ad ogni momento si proclama difensore dei «princìpi cristiani». Disagio, poi, vivo nel mondo delle parrocchie, dove tanta gente che aveva votato per Berlusconi, considerandolo quasi un novello Messia destinato a salvare la civiltà cristiana in Italia, ora si sentiva quasi tradita. Allo scandalo «sessuale» se ne è poi aggiunto un altro, quello provocato dalla legge sugli immigranti clandestini extracomunitari e dalle normative pratiche conseguenti ad essa: testi applauditi dai cattolici sostenitori della Lega e del Pdl ma, all’opposto, ritenuti da molti altri cattolici evangelicamente inammissibili, moralmente intollerabili e politicamente iniqui.

In tale polarizzazione, pur sempre occhieggiando al centrodestra, il direttore diAvvenire, il quotidiano cattolico nazionale di proprietà della Conferenza episcopale italiana (Cei), non ha più potuto tacitare il grido di protesta che sorgeva da una parte del «popolo cattolico» e, anche, da qualche vescovo; e dunque sul suo giornale ha dovuto dar conto, pur con somma prudenza, di queste crescenti critiche al governo Berlusconi-Bossi.

Temendo che tale ondata diventasse inarrestabile, il premier ha lasciato che Vittorio Feltri, da agosto neo-direttore de Il Giornale, sferrasse il «blitz-krieg», il fulmineo attacco di guerra. Lui nega di avergli mai dato questo input, ma poi non spiega perché, di fronte ad un fatto tanto eclatante, non lo abbia licenziato. Alcuni sostengono che Gianni Letta, il grande «ricucitore» dei rapporti con il Vaticano, avesse pressantemente invitato il premier – in attesa del suo incontro all’Aquila con il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone – a tacitare, sui giornali della sua famiglia, le critiche ad esponenti di rilievo del mondo ecclesiastico; ma che, infine, sia stato sconfitto da altri intimi di Berlusconi fautori di una sfida aperta ad Oltretevere e alla Cei. E così Feltri, sul suo quotidiano, con un titolo di scatola, il 28 agosto annunciava in prima pagina, riferendosi a Boffo: «Il supermoralista condannato per molestie».

Il riferimento era ad un documento (poi pubblicato in fotocopia sul Giornale) che afferma: il 9 agosto 2004 Dino Boffo, con decreto penale del Gip del tribunale di Terni, esecutivo il primo ottobre successivo, è stato condannato ad una «ammenda di 516,00 euro», per «molestia alle persone, art. 660 c.p., commesso nel gennaio 2002 in Terni». La «esecuzione della pena» è avvenuta il 7 settembre 2004, quando è stata «pagata la pena pecuniaria». Il documento citato è stato reso noto, il primo settembre scorso, anche dalla cancelleria del tribunale di Terni; ma il gip Pierluigi Panariello, alla richiesta di alcuni giornalisti che l’intero fascicolo del procedimento a carico di Boffo fosse reso pubblico, ha disposto che esso rimanesse indisponibile. Il quotidiano di Feltri faceva anche riferimento ad una «nota informativa» anonima, secondo la quale a suo tempo una signora di Terni aveva sporto querela – poi ritirata – a Boffo perché questi l’avrebbe intimidita affinché abbandonasse il marito con il quale lui aveva una relazione.

Noi vogliamo credere alle ripetute smentite, giunte da Avvenire, a questa «nota informativa» di dubbia provenienza e, in linea di principio, condividiamo il ribrezzo morale verso chi tentasse di demolire la credibilità di una persona riferendo accuse di fonte anonima, o comunque non dimostrate, o apertamente calunniose. D’altra parte, se partendo da documenti di tribunale – e non da testi anonimi – Feltri avesse usato, contro Berlusconi, un millesimo del sacro zelo dimostrato per silurare Boffo, da quel dì il premier ne sarebbe uscito moralmente e politicamente distrutto.

Domandiamoci, dunque: perché un tale attacco contro Boffo? Allo stato dei fatti, potrebbe darsi, a livello di mera ipotesi, che si sia trattato di un «avvertimento» ai vertici delle Cei e, ancor più, del Vaticano: cari signori (questa la traduzione… in italiano del messaggio criptato), attenzione: noi, Berlusconi&Feltri, abbiamo in mano, a parte quello su Boffo, ben altri dossier, che lambiscono alti prelati, italiani e vaticani, su comportamenti sessuali discutibili (secondo le norme della morale cattolica) e/o su vostri affari finanziari assai torbidi. Dunque, se voi non taciterete, sui media cattolici, le critiche al governo in carica, e a chi lo guida, le prossime «cannonate» della flotta mediatica berlusconiana saranno ad alzo zero.

Il «messaggio» potrebbe essere – sempre in via di mera ipotesi – anche interpretato così: eminenze, se voi sabotate Berlusconi, chi vi darà leggi, come quella sul testamento biologico, che incarnano il vostro punto di vista sui «princìpi non negoziabili»? Chi vi riempirà di privilegi e di favori economici e normativi? Chi interpreterà a vostro favore le normative post-concordatarie sullo status dell’ora di religione cattolica? Volete forse favorire le sinistre, pronte a dilapidare l’identità cattolica in Italia ed a fare leggi – non scordate il caso Englaro! – contro la sacralità della vita? Dunque, patti chiari e amicizia lunga: voi mettete il guinzaglio ai vostri, e noi non pubblicheremo dossier imbarazzanti su di voi. Ci auguriamo, per il bene del paese, che tali interpretazioni siano del tutto infondate.

Il contrasto tra Bertone e Ruini

Stante, su mandato di papa Wojtyla, il cardinale Camillo Ruini alla guida della Cei, l’Avvenire di Boffo fin dal 1994 accentuò il suo spirito crociatesco nelle battaglie a sostegno della «presenza» cattolica in Italia, e dunque a sostegno di tutti i privilegi concordatari e, inoltre, a favore delle fondamentali tesi vaticane e ruiniane: le leggi dello Stato sui temi bio-etici dovevano incarnare il punto di vista delle gerarchie ecclesiastiche (l’unico, a loro parere, capace di interpretare correttamente la «legge naturale»!). Così, nel 2005 (e siamo già sotto Benedetto XVI), Ruini – con l’appoggio ufficiale di tutto l’episcopato italiano, e nell’umiliante silenzio dei pochi vescovi «progressisti» in carica, che pur forse non erano d’accordo – sollecitò tutti gli italiani/e, e non solo i cattolici, a far mancare il «quorum» per svuotare il referendum che avrebbe bonificato la legge 40, facilitando la procreazione assistita.

Poi – mentre papa Ratzinger stava preparando la sostituzione a Ruini, ponendo alla testa della Cei l’arcivescovo di Genova, cardinal Angelo Bagnasco – venne l’attacco frontale dei vertici episcopali contro l’ipotesi, del governo Prodi, di una legge sui Pacs/Dico; e, quindi (e siamo al febbraio scorso), il clamore episcopale, martellato per giorni da Boffo, per tentare di impedire che Beppino Englaro staccasse la spina alla figlia Eluana in coma irreversibile da diciassette anni. In tutte queste battaglie la voce pubblica, quotidiana, rappresentante il punto di vista vaticano ed episcopale, era Avvenire. Mai, dicesi mai, sui temi sensibili citati, il quotidiano ha dato pari dignità – ad esempio con due editoriali appaiati, o con due pagine a fronte – a variegate voci cattoliche: le une contro e le altre a favore del «sì» al referendum del 2005, o alla scelta di Beppino Englaro. Anche se non lo ha scritto nel titolo, il quotidiano si crede – e la Cei lo fa ritenere – di fatto, il giornale dei cattolici, mentre esso lo è di cattolici, cioè di un certo, limitato, gruppo.

Ma la sistematica esclusione (ben raramente infranta), dalle pagine di Avvenire, di voci diverse da quelle ufficiali, o da quelle rampanti di Comunione e liberazione e dell’Opus Dei, non solo sulla bioetica, ma anche su temi teologici e pastorali, o sulla guerra in Iraq (quando, nel 2003, scoppiò), e sull’interpretazione del Concilio Vaticano II, ha provocato malessere crescente in una parte dell’episcopato, o anche in movimenti cattolici allineati ma non proprio collimanti con le tesi ufficiali più oltranziste. Perciò, diventato «numero due» vaticano nel settembre 2006, Bertone immaginò di fare quadrare il circolo: spingere Avveniread un maggior pluralismo sui temi teologici ed etici dibattuti; e politicamente, andato il centrodestra al potere, non disturbare l’«alleato» Berlusconi. Inoltre, volendo essere lui, e non più la dirigenza della Cei, come era uso al tempo di Ruini, a gestire la politica della Chiesa romana in Italia, il segretario di Stato desiderava che Boffo, creatura di Ruini, suo avversario, lasciasse il timone affidatogli.

Perciò l’attacco di Feltri è stato colto come un’occasione (casuale? studiata? provvidenziale?) per silurare Boffo. E questo lo si è capito quando Gian Maria Vian, direttore de L’Osservatore romano, in una intervista al Corriere della sera, e non dunque ad un oscuro bollettino parrocchiale, il 31 agosto scorso ricordava di non aver mai scritto una riga, sul quotidiano vaticano, sulle «vicende private» di Berlusconi; e, a proposito del barcone di oltre settanta eritrei periti in mare, tra Libia, Malta e Italia, perché non soccorsi, criticava apertamente Avvenire: «Non si è forse rivelato imprudente ed esagerato paragonare il naufragio degli eritrei alla Shoah, come ha suggerito una editorialista del quotidiano cattolico?… E come dare torto al ministro degli Esteri italiano [Franco Frattini] quando ricorda che il suo governo è quello che ha soccorso più immigrati, mentre altri – penso per esempio a quello spagnolo – proprio sugli immigrati usano di norma una mano molto più dura?». Quindi, minimizzando il fatto che, variando il programma da tempo convenuto, infine alla Perdonanza dell’Aquila, il 28 agosto, Bertone avesse annullato l’incontro con Berlusconi, Vian precisava: «I rapporti tra le due sponde del Tevere sono eccellenti».

Non si era mai visto un direttore dell’Osservatore criticare apertamente Avvenire. Perciò, essendo Vian uomo voluto da Bertone in quel ruolo, e in qualche modo suo interprete, le sue parole potevano essere interpretate, senza eccessiva dietrologia, come il preannuncio delle imminenti dimissioni di Boffo: una decisione formalmente presa dall’interessato, il 3 settembre, ma praticamente imposta dal Vaticano. Oltre ai motivi sostanziali ricordati, a spingere il Vaticano (e perciò anche Bagnasco) a «sacrificare» il direttore vi è il fatto che non tutti, Oltretevere e in una parte della Cei, erano e sono convinti della sua innocenza sul fatto specifico addebitatogli dal Giornale. Perché, nel profluvio di lettere di solidarietà dei lettori al direttore di Avvenire e di articoli infuocati a sua difesa, a parere di diversi prelati vaticani, sul quotidiano della Cei non vi è stata una risposta convincente ad una semplice domanda: ma perché mai Boffo avrebbe volontariamente pagato una «ammenda» di oltre cinquecento euro per non aver commesso nulla di nulla?

La ribadita spiegazione del direttore – e cioè che qualcuno avesse compiuto contro terzi delle «molestie» (sessuali, hanno precisato molti media) profittando del suo telefonino lasciato sbadatamente incustodito sul tavolo nel suo studio – sarà forse vera; ma appare talmente inverosimile che non ha convinto chi, a suo tempo, gli ha chiesto di pagare l’ammenda. E adesso non convince più di un monsignore. Anche per un altro dettaglio: perché Boffo non ha insistito affinché il fascicolo di Terni che lo riguardava fosse reso completamente noto? Sarebbe stata, questa, una via regale per troncare dicerie e calunnie.

Se dunque la realtà – questo il dubbio vaticano – non fosse esattamente quella descritta da Boffo? Del resto, il documento pubblicato il 28 agosto (da ben distinguersi dall’allegata nota anonima) era da mesi sul tavolo di vescovi e di giornalisti; e voci, ricostruzioni, verità, fantasie, correvano. Ora, il cuore del ragionamento di Feltri – a prescindere dalle ragioni politiche sostanziali che lo hanno spinto a servire la famiglia del suo patron – è, sul piano logico, difficilmente contestabile: come poteva Boffo, non essendo immacolato, dirigere un giornale che ogni giorno proclama la morale cattolica ufficiale e critica i variegati amori extraconiugali? In questione, insisteva Feltri, non era la vita privata di una persona, ma la credibilità, morale e professionale, del direttore di un media della Cei.

Lo scambio di favori e la resa

Da quanto siamo venuti dicendo, apparirà chiaro che la vicenda di Avvenire e le obbligate dimissioni di Boffo sono solo un piccolo tassello di un più vasto quadro, che riguarda i rapporti Stato-Chiesa cattolica in Italia. Il primo e sostanziale risultato che, adesso, Ratzinger, Bertone e Bagnasco vogliono ottenere da Berlusconi è che la Camera – ignorando le proposte di una parte del centrosinistra e i suggerimenti di Gianfranco Fini – approvi la legge sul testamento biologico così come uscita dal Senato, senza «annacquamenti progressisti». Potrebbe accadere che in cambio le gerarchie ecclesiastiche si impegnano a smorzare, sulla stampa da esse controllata e soprattutto sul «nuovo» Avvenire, le critiche alle normative sull’immigrazione (limitati sfoghi saranno permessi, ogni tanto, per salvare la faccia e come inevitabile scotto da pagare ai cattolici, preti e laici, «inquieti»); e quindi che la Cei vigilerà affinché i suoi giornali evitino ogni cenno agli «harem» che, secondo le dichiarazioni di alcune signore e signorine, avrebbero allietato le serate del presidente del Consiglio. Insomma, la Cei, per ordine vaticano, potrebbe dismettere ogni eventuale grido profetico sull’operato del governo Berlusconi, demandando semmai a qualche isolata «testa calda», che non avrà spazio su Avvenire, queste denunzie (se provenienti poi da prelati vaticani, si dirà che non rappresentano la linea ufficiale della Santa Sede).

A noi sembra proprio di intravedere, in filigrana, questo patto non scritto, dal sapore di una moderna «simonia». Adesso non si offre oro per ottenere il cardinalato o il papato, o per vedersi benedetto il regno; è cambiata la materia del do ut des: la gerarchia della Chiesa (romana) offre la sua resa purché lo Stato emani leggi che incarnino i princìpi etici come intesi dal Vaticano, ignorando ogni voce diversa al suo interno, e ovviamente ogni altra Chiesa, religione, filosofia che prospetti differenti approcci etici; e il governo, sacrificando la laicità dello Stato, garantisce la sua arrendevolezza alla Chiesa romana sui temi «sensibili», purché le gerarchie ecclesiastiche tolgano il microfono a quei cattolici che vorrebbero profeticamente gridargli Non licet, non ti è lecito imporre leggi da regime etico, non ti è lecito violare la libertà di coscienza, non ti è lecito distruggere la dignità e la vita degli extra-comunitari…

Ci sembra storicamente e fattualmente falsa la tesi – pur ogni giorno ripetuta – che sia la Chiesa (cattolica romana), e solo essa, a difendere la vita; e, per stare alla cronaca, pensiamo che si possa essere bravi cattolici sostenendo la legge sul testamento biologico come uscita dal Senato, e bravi cattolici contestandola. Ma tra le due posizioni non vi è equivalenza, se tradotte in legge: con le normative che piacciono a Berlusconi, al papa e ai vescovi, si impone al malato la propria posizione etica e religiosa, violando così la sua coscienza e la sua libertà; invece, con l’altra, non si impone nulla a nessuno, e se un padre vorrà mantenere attaccata la spina alla sua Eluana in coma per cinquant’anni, lo potrà fare liberamente; come, se vorrà, potrà porre fine legalmente (e, aggiungiamo, evangelicamente) a questa vita non-vita, a questo innaturalissimo e artificiale tormento.

È, perciò, inquietante e arrogante l’ingiunzione che, tra agosto e settembre, ha ricevuto ciascuno dei quarantuno preti e religiosi che sei mesi fa avevano sottoscritto un appello «per la libertà sul fine-vita», e per il rispetto, a proposito, della libertà di coscienza, promosso da Micromega dopo la morte di Eluana. Ad ognuno dei firmatari, se ancora nell’istituzione, il rispettivo vescovo o superiore ha inviato una lettera che, su mandato di un dicastero vaticano, lo invita perentoriamente a ritirare la sua firma da quel testo, sul sacro Colle considerato inaccettabile in quanto ammette la possibilità, in determinate situazioni – come nel caso Englaro – di rifiutare alimentazione e idratazione. Insomma, rinverdendo lo spirito dell’Inquisizione, si domanda ai firmatari un’abiura.

Stanti così le cose, siamo curiosissimi di vedere come il «nuovo» Avvenirevagheggiato da Bertone si comporterà in questa vicenda e durante tutto il dibattito che accompagnerà l’iter, alla Camera, della legge sul testamento biologico. Ché, se ai quarantuno, e ai milioni di altri cattolici, donne e uomini, che la pensano allo stesso modo, non sarà dato adeguato spazio sul quotidiano della Cei (e alla Rai e in Mediaset, ma questo è un altro problema), allora sarà chiaro a tutti che, a livello di vertici ecclesiastici, la vicenda Boffo è servita solo come pretesto per saldare conti e rivalità personali, o per oscuri ricatti.

Sullo sfondo sta sempre il Concilio Vaticano II

Vi è chi pensa che Ratzinger e Bertone abbiano accettato obtorto collo la mela avvelenata offerta sul piatto della pax berlusconiana, e che essi lavorino sotto traccia perché un Pierferdinando Casini, o un Fini, o un Luca Cordero di Montezemolo (ma non sono anch’essi «irregolari», secondo la morale matrimoniale cattolica ufficiale?) arrivino al governo, magari col Grande Centro, dopo il desiderato collasso di un premier che il Vaticano fatica a far digerire ad una parte notevole della gente delle parrocchie, alla intellighentzia cattolica pur obbediente al magistero, ed a qualche vescovo. Ma, prima di essere defenestrato dai suoi, o dagli ex suoi (stante la debolezza delle sinistre), Berlusconi farà una difesa ad oltranza, quasi disperata, e disposto a mandare all’aria l’Italia pur di non farsi da parte se non prima avendo ottenuto un «salvacondotto» che gli garantisca di evitare, tornato cittadino «normale», un qualche processo.

Altri, guardano a panorami ben più ampli; e ritengono che gli scontri intra-cardinalizi emersi, come lampi, dalla vicenda Boffo, travalichino di gran lunga questo fatto di cronaca italiana, e siano la spia di altri e più corposi contrasti, carsici ma di tanto in tanto affioranti, che riguardano le manovre in vista del futuro conclave. Sì, perché l’età, 82 anni, del papa regnante – al quale tutti augurano lunga vita – consiglia l’establishment ecclesiastico a non arrivare impreparati al «dopo», cioè al conclave che, quando Dio vorrà, dovrà eleggere il successore. Il quale dovrà confermare solennemente, o forse incrinare, le certezze di Wojtyla e di Ratzinger sulla questione campale della legittimità, o meno, per i cattolici, di aver opinioni diversificate sulle questioni bioetiche e su come valutare le leggi su di esse, in uno Stato laico e democratico, annunciando l’Evangelo e non la «legge naturale».

Figurarsi se alla minoranza cattolica in Indonesia o alla maggioranza cattolica in Brasile interessa il caso Boffo in sé! Ma i temi che stanno sullo sfondo interessano, eccome, anche fuori Italia. Il pluralismo teologico, prima di tutto; l’interpretazione del Vaticano II, non convincendo affatto quella restrittiva che ne dà Ratzinger; e la consapevolezza che Eluana ha mille e mille sorelle e fratelli in tante parti del mondo, che si aspettano dalla Chiesa romana una parola evangelica sul nocciolo etico del problema. Ma essa oggi è divisa, e la radice della contrapposizione sta, ci sembra, in una diversa interpretazione della «autonomia delle realtà terrene» di cui parlò il Vaticano II nella costituzioneGaudium et spes. Alle multiformi Chiese cattoliche locali poco importa del futuro diAvvenire, ma sì l’avvenire dell’insieme della Comunione romana. La quale rischia la spaccatura su un tema etico delicatissimo che, al di là della calma apparente, turba e divide non solo i semplici fedeli, ma anche le loro eminenze.

David Gabrielli

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