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La legge 40 nuoce gravemente alla salute

by redazione

Alla fecondazione assistita non si ricorre più solo per problemi di infertilità all’interno di una coppia, ma anche per evitare la trasmissione di malattie genetiche. In Italia però la legge 40 crea una serie di complicazioni che costringono migliaia di coppie a rivolgersi all’estero. Il professor Marino è chirurgo e attualmente presiede la Commissione parlamentare di inchiesta sul Servizio sanitario nazionale.

Quella di Louise Brown è la storia di una donna che ha cambiato la vita di milioni di persone. Il 25 luglio 1978 Louise vide la luce, diventando la prima bambina al mondo nata dopo un concepimento in provetta. Oggi questa mamma 32enne ringrazia Robert Edwards, padre della fecondazione assistita, premio Nobel per la medicina 2010. Negli anni Settanta la metodica utilizzata da Edwards era relativamente semplice rispetto alle tecniche attuali. I medici, infatti, per il primo concepimento artificiale avevano prelevato un ovulo materno, lo avevano fecondato in provetta con il seme del marito e lo avevano reimpiantato nell’utero della donna.

Non si trattava quindi di selezione di embrioni (il primo test genetico preimpianto risale al 1990 e non ha nulla a che vedere con gli studi di Edwards) e non aveva pertanto alcuna implicazione etica. Stupisce in tal senso la reazione di chi contesta l’assegnazione del prestigioso riconoscimento, adducendo motivazioni etiche e addirittura scientifiche. Ed invece un plauso va a chi, come la Commissione bioetica della Tavola valdese, riconosce «l’importanza di una scoperta che non solo ha reso possibile un fondamentale passo avanti nella lotta alla sterilità, ma ha anche consentito di eludere numerose gravi malattie geneticamente trasmissibili tramite la diagnosi preimpianto e, più recentemente, ha aperto la promettente strada della ricerca sulle cellule staminali».

32 anni dopo la nascita di Louise, alla fecondazione assistita non si ricorre più solo per problemi di infertilità all’interno di una coppia, ma anche per evitare la trasmissione di malattie genetiche mortali o gravemente invalidanti, come la cecità, dai genitori ai figli. Sono oltre 4 milioni le persone, nel mondo, di cui è diventato papà scientifico Robert Edwards. Relativamente pochi però gli italiani nati in Italia che gli devono la vita: il nostro paese, imbrigliato dalla legge 40, costringe infatti migliaia di coppie con problemi di fertilità a rivolgersi all’estero. Eppure, se consideriamo normale e responsabile eseguire dei controlli prima di una gravidanza, con lo scopo di individuare eventuali malattie, allora perché in uno Stato laico non dovrebbe essere normale, avendo lo stesso obiettivo, la diagnosi preimpianto? Perché la legge dovrebbe obbligare una donna all’impianto anche di un embrione con una gravissima malattia genetica e poi consentire di interrompere la gravidanza con l’aborto?

A rispondere è stata la Corte costituzionale, che due anni fa eliminò l’obbligo di produzione di soli tre embrioni in ogni ciclo di fecondazione e l’obbligo del loro contemporaneo impianto. La Consulta è adesso nuovamente chiamata a rispondere dal tribunale civile di Firenze, questa volta sulla costituzionalità della norma che vieta alle coppie sterili di accedere alla fecondazione eterologa, con ovuli e seme donati da altri. Il sottosegretario alla salute Roccella teme il ritorno al far west, ma il far west è già qui, con la confusione che regna nei centri per la riproduzione assistita e tra le coppie, costrette al turismo riproduttivo. L’impostazione generale della legge 40 non è scientifica bensì ideologica, dunque sbagliata: articolo per articolo, il testo viene sostanzialmente modificato, dovendo fare i conti con le evidenze della scienza applicate alla pratica medica e con le indicazioni della nostra Costituzione. Eppure sarebbe bastato, sei anni fa, gettare uno sguardo al resto d’Europa e magari fare anche un salto Oltreoceano. Nel Regno Unito, che vede il professor Edwards insegnare a Cambridge, nel 2006 è stata autorizzata per la prima volta la selezione embrionale in una coppia che non aveva problemi di fertilità. Lì a decidere è l’Authority per l’embriologia e la fecondazione assistita. In Spagna vi è un’analoga commissione speciale.

Torniamo in Italia. Si potrebbe partire con l’ammettere che la legge 40 non tiene conto né delle esigenze delle coppie con problemi di infertilità né della salute delle donne, e che soprattutto ignora le possibilità che la scienza mette a disposizione della medicina. Si potrebbe provare ad avanzare una proposta concreta di riforma: prendiamo esempio da paesi che hanno legislazioni coerenti con la conoscenza scientifica e lasciamo che sia appunto un organismo scientifico a fornire linee guida, autorizzare trattamenti e codici di comportamento. Evitiamo che si arrivi ancora una volta al parere dirimente della magistratura per risolvere il conflitto tra le leggi e tra queste e i progressi della conoscenza.

Ignazio R. Marino

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